Pensieri Sanremesi

“Persona con handicap”.
Così Amadeus si è riferito più volte a Donato Grande, campione della Powerchair football e attaccante della nazionale italiana, ospite a Sanremo.
Partendo poi in un’arringa poco avvincente sulle “difficoltà che incontrano i ragazzi COME Donato.” Responsabilità non solo delle istituzioni, ma anche nostra: “Quando occupiamo un posto auto destinato ai portatori di handicap, quando occupiamo un posto davanti ad un portone o un cancello, decidiamo che ragazzi come Donato non possano vivere la vita che devono vivere.”
Il tutto coronato da una pacca sulla spalla di Zlatan Ibrahimovic che si congratula per la bravura di Grande dopo qualche palleggio scambiato sul palco.

Nulla vi suona strano nelle orecchie? Non vi arriva un senso di disturbo nello stomaco?
Proviamo a fare chiarezza sul retaggio culturale che questi sei minuti si portano dietro e confermano, senza alcuna riflessione critica, in prima serata su rai1.

Donato Grande non “soffre di disabilità”, così come è stato detto. Una persona soffre di ansia, di depressione, di vertigini. Non si soffre di disabilità. Non è un morbo.
Curioso sottolineare anche l’uso della dicitura “persona con handicap” caduta oramai in disuso, così come indicato dalla comunità stessa e dalla letteratura scientifica: l’handicap è lo svantaggio che si manifesta nel momento in cui la persona disabile si confronta con il mondo esterno, non adeguato ad accogliere le sue necessità specifiche. E’ come dire: si è una persona MA con dei deficit, ha dei punti in meno rispetto a me che sono “normale”.
Ecco, prediamone atto e passiamo alla più corretta dicitura di persona disabile.
Per continuare questa riflessione: perché il discorso che Amadeus ha fatto non va bene?
Perché trasmette, inconsapevolmente, un messaggio sbagliato e rafforza convinzioni e schemi mentali culturalmente già ben radicati nella nostra testa.
Ha centrato tutto il discorso riguardo le barriere architettoniche su una opposizione “noi” e “loro”. In questa visione, “noi” (a sviluppo tipico) facciamo un favore a “loro” (diversi) non occupando i parcheggi riservati; evitando di ostacolare il passaggio delle carrozzine sui marciapiedi o sui passaggi pedonali o nei pressi dei cancelli. Siamo bravi, noi che li aiutiamo.
Ecco, forse sarebbe il caso di sottolineare che non facciamo loro alcun favore, evitando di parcheggiare negli spazi gialli: è un loro diritto averli e poterne usufruire. Non ci dovrebbe essere bisogno che Amadeus in televisione ci dica di essere buoni e comportarci bene: è scritto nel codice della strada. Non si tratta di favori che facciamo per pietismo, ma di rispetto dei diritti delle persone con disabilità.
Ancora: non bloccare le discese dei marciapiedi, non agevola solo le persone disabili in carrozzina. Le mamme con il passeggino? Gli anziani con difficoltà motoria? Noi con il trolley super pesante che facciamo un pezzo a piedi?
Senza contare che parcheggiare davanti ai cancelli significa lasciare la macchina in divieto di sosta e la multa arriva perché lo dice la legge, non perché siamo stati cattivi e non abbiamo pensato alle persone disabili in carrozzina.
Dobbiamo fare attenzione a mettere ogni cosa al suo giusto livello: i diritti delle persone disabili non sono un nostro gentile favore e non dipendono dalla nostra voglia o meno di rispettarli.
Tutto questo pietismo che spesso accompagna la narrazione delle persone con disabilità, il “proprio in gamba che ce l’ha fatta, nonostante tutto” non deve più avere tutto questo spazio.
Ibrahimovic che dice “Bravo” a Donato dopo aver fatto insieme i palleggi, era davvero necessario? Qualcuno si sognerebbe mai di andare a dargli una pacchetta sulla spalla e dirgli che è “Bravo” dopo aver fatto la stessa cosa? Ammettiamo anche che la risposta sia sì, sicuramente le modalità sarebbero differenti non con quell’atteggiamento dall’alto in basso che trasmette il non verbale.
Capiamoci: Donato è stato invitato a Sanremo perché è l’attaccante della nazionale italiana di Powerchair football, non si da per scontato che sia bravo in quello che fa? Eh ma no, che bravo che nonostante sia in sedia a rotelle sia così capace a giocare con la palla. Certo i complimenti fan piacere, ma ci sono modi e modi di esprimerli.

Che cosa trarne da queste riflessioni?
Colpevolizzare Amadeus, vittima egli per primo del retaggio culturale di riferimento, ha un’utilità minima. Sicuramente un po’ più di consapevolezza, data la vastità del pubblico e il ruolo che ricopre, sarebbe necessaria: anche solo informarsi sulla giusta terminologia, studiare uno sketch che possa proporre finalmente una visione diversa della persona disabile che non sia solo “quello che nonostante tutto, ce la fa!”.
In secondo luogo, cominciare noi stessi a interrogarci e mettere in discussione i paradigmi cui facciamo riferimento: la persona disabile non è un qualcuno minoritario rispetto a noi, bisognoso della nostra protezione, del nostro aiuto, della nostra pietà o del nostro riconoscimento. Sono persone che hanno, come noi, dei diritti che vanno rispettati. Diritti che al giorno d’oggi sono nascosti, ancora poco percepiti e mal riconosciuti, spesso considerati impossibili da raggiungere (per esempio garantire l’autonomia abitativa per persone con disabilità intellettiva).
Ebbene, se trovassimo la forza di uscire al di fuori della nostra zona di comfort, scopriremmo che invece queste sono situazioni che si stanno affermando e stanno diventando reali. Ma questo dipende anche da noi, dal contesto sociale di riferimento che creiamo con le nostre azioni e i nostri pensieri, entro il quale si svolgono questi processi di riconoscimento dei diritti e della visione della persona disabile.

Vi lascio con una citazione rubata a Stella Young, il cui ted talk vi invito ad andare a vedere:
“Io non sono qui per ispirarvi. Sono qui per dirvi che ci hanno mentito a proposito della disabilità. Ci hanno propinato la menzogna che la disabilità è una Cosa Negativa. E’ una cosa negativa, quindi vivere con una disabilità rende eccezionali.
Non è una cosa negativa e non ti rende eccezionale. E negli ultimi anni siamo stati capaci di diffondere ulteriormente questa menzogna attraverso i social media. […] Queste immagini sono ciò che chiamiamo pornografia motivazionale. Lo scopo di queste immagini è di fornire ispirazione, motivazione affinchè possiate guardarle e pensare: – Beh, per quanto difficile sia la mia vita potrebbe essere peggio. Potrei essere io quella persona-. “

1 commento su “Pensieri Sanremesi”

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